Cultura

TUTELARE LE OPERE D’ARTE

“Tesori invisibili”: questa è la ben motivata attribuzione della mostra  realizzata dal Centro Europeo per il Turismo presso il Museo Nazionale  di Castel Sant’Angelo, a Roma, con l’intento di rendere visibili a tutti  quei capolavori che, altrimenti, rimarrebbero inaccessibili al visitatore comune.

Si tratta di un’operazione encomiabile perché nell’indubbia valorizzazione  turistica è implicita la spinta vitale di una promozione culturale tesa ad  agevolare l’interesse del largo pubblico per quei luoghi della memoria in cui  si intrecciano Arte e Storia.

E c’è da dire che, considerata la situazione italiana in fatto di politica e di cultura,  iniziative di questo genere rappresentano un’indilazionabile necessità.

Fra l’altro, la visita museale – specie nell’ambito della sezione dedicata all’Archeologia – offre lo spunto ad una riflessione suggerita dall’impegno delle Forze dell’Ordine nel recupero dei reperti trafugati.

Un impegno che non si limita alla ricerca ma si sostanzia della consapevolezza che i capolavori ritrovati costituiscono la memoria storica di un passato di cui “il tesoro degli italiani” è il geloso custode.

A sostegno di questa riflessione, la fortunata mostra ha rappresentato l’occasione per la presenza congiunta dei rappresentanti delle Fiamme Gialle, della Benemerita e della Polizia di Stato.

Una presenza da cui emerge una certezza: che all’Italia dei valori proclamati, ovvero all’Italia delle divisioni, delle partigianerie, delle aggressioni verbali, si contrappone un’Italia dei valori testimoniati attraverso la dedizione professionale disinteressata, un’Italia unita nella progettazione e realizzazione del bene comune.

In altri termini l’Italia ha in sé gli anticorpi per combattere quell’inquinamento e quel degrado che ha determinato la crisi che tutti lamentano.

Un’Italia, c’è da aggiungere, che non si lascia corrompere dai media abituati, ahimè, ad indugiare sui fatti caratterizzati dalla concorrenza dettata da ambizioni e da ben poco edificanti impulsi.

Di recente, un articolo a firma Pierre de Nolac, apparso su “Italia Oggi”, dal titolo “Guerra ad arte tra Finanza e Carabinieri”, ha reso necessaria un’accurata documentazione su quelle che sono le competenze della Guardia di Finanza, dei Carabinieri e della Polizia di Stato, in materia di tutela dei beni culturali, finalizzata a giudicare con cognizione di causa e, quindi, senza prevenzioni…

Vero è che non è difficile accertare che la Guardia di Finanza ha istituito le Sezioni Mobili di Polizia Archeologica, in difesa dei contesti arcaici d’Etruria e nelle Puglie, fin dal 1963; l’Arma dei Carabinieri celebra  – proprio quest’anno – il quarantesimo anniversario dell’istituzione del Comando deputato alla tutela.

I due Reparti esplicano le proprie funzioni a difesa dei beni culturali, in sinergia, da sempre, gestendo con correttezza le, talvolta inevitabili, convergenze nelle indagini, senza antagonismo, consapevoli che il fine ultimo è il recupero delle opere alla fruizione collettiva.

Non si capisce, pertanto, perché i media li vogliano contrapposti, costantemente in lotta nel riconoscimento di primogeniture e primati in una tenzone che spesso sottrae la ribalta al bene recuperato in favore di un protagonismo esasperato, legato al solo colore dell’uniforme.

Ma non basta.

E’ vero che il Nucleo Carabinieri – Tutela Patrimonio Culturale è diretta derivazione del Ministero per i Beni e le Attività Culturali, che gestisce la Banca Dati delle opere d’arte rubate e da ricercare e che si tratta di un’eccellenza tutta italiana, capace di esportare il proprio know how investigativo attraverso seminari e convegni internazionali, ma è altrettanto vero che la Guardia di Finanza, con il suo Gruppo Tutela Patrimonio Archeologico (un’Unità di 50 validissimi elementi superselezionati), articolazione del Nucleo di Polizia Tributaria di Roma, in virtù dei poteri che ne derivano in campo tributario ed atteso che l’illecito traffico dei beni storico-artistici sottende anche reati di evasione fiscale, esplica la propria attività in materia, che è né più e né meno la medesima posta in essere dalla Benemerita nello specifico compendio operativo, anche con riferimento alle implicazioni del fenomeno illecito in campo internazionale.

Esiste poi la Polizia di Stato, che non ha una specifica articolazione ad hoc in difesa dei beni culturali, ma che nell’ambito dei servizi d’Istituto recupera, annualmente, dall’indotto clandestino, un’insospettabile quantità di opere d’arte.

Ciò posto, risulta chiaro ed evidente quanto sia preziosa e insostituibile l’opera silente delle tre forze dell’Ordine impegnate in una battaglia che porterebbe più agevolmente al recupero della dignità nazionale se esse –lungi dall’essere contrapposte dai media- fossero investite su un’unica entità posta sotto l’egida del Ministero per i Beni e le Attività Culturali (di concerto con le proprie derivazioni periferiche), formata da specialisti già impegnati nel settore, evitando inutili duplicazioni di comandi, dispendio di energie e risorse personali e professionali, disorientamento nella comunità e certamente risparmiando sulla gestione del patrimonio immobiliare delle caserme e degli edifici che le ospita. Il medesimo assetto di accorpamento è, peraltro, già in atto in molti Paesi della UE.

Di fatto, è indubbio che un organismo  interforce avrebbe maggiori chance di un effettivo e duraturo risanamento oltre a costituire un salutare, concreto esempio di collaborazione secondo un progetto di vita comune.

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